Il Librosario: Il libro che ci ha deluso di più e del quale sconsigliamo la lettura

28.12.2016 17:55

Nasce da oggi Il Librosario, una rubrica mensile sul libro che più di altri ci ha deluso.

Scritturarte, una volta al mese, pubblicherà una o più recensioni su un libro letto, rispetto al quale le "attese" sono state completamente deluse.

Perchè leggere un buon libro è sempre un dono ma leggere un cattivo libro è una perdita di tempo che non possiamo concederci.


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Cominceremo da Appunti di meccanica celeste di Domenico Dara.

Motivata, dopo aver letto il suo primo libro (Il breve trattato sulle coincidenze che considero un capolavoro), comprai e lessi anche il secondo, fu una tale delusione che mi senti male fisicamente (e non lo dico tanto per dire).
Un libroide ambientato nella metà degli anni 90 e che tratta le donne e gli uomini come cavernicoli primitivi, mossi solo dall'istinto di "figliare o fottere"...fà orrore una società così malamente descritta, una società nella quale le donne che non riescono ad avere figli si sentono nullità e gli uomini sono intrappolati in stereotipi fallocentrici.
Leggere un libro così è stata solo una perdita di tempo e ha segnato un dolore profondo in me lettrice.
Condivido ogni parola scritta nella recensione del Professore Alessandro Claudio Orefice (battezzato dallo stesso scrittore Dara "lettore ideale") che vi lascio qui perchè possiate leggerla.

PIÙ CHE CELESTE, UN MECCANO PARADOSSALE *

Che ne direste se un romanzo pubblicato (= per il pubblico) la cui  mole  di 365 pagine ad un prezzo  esigente (diciamo  a € 19), si rivelasse poi essere una esperienza faticosa per voi, al pari di una traversata del  Mar Rosso  a causa delle ripetute incongruenze ed incompatibilità,  per la inesistenza di un contesto e di una trama che sia credibile, tanto da costringervi a leggere ed a rileggere per comprendere  a quale logica risponda la storia che state leggendo? E che ne direste se, giunti alla fine del guado, vi sentiste irriducibilmente indisposti con il romanzo  per via dell'annichilimento provato di quel sentimento che è anche  necessità primaria di 'rispetto' per il lettore che si è fidato e che pretende di non sentirsi preso in giro?   Alludo  al rispetto 'a-priori kantiano' che è patto implicito di fiducia con il lettore e che ogni volta stringe chi da lettore si pone di fronte al romanzo  (così come è della visione del visitatore  di fronte ad un quadro esposto, dell'udito all'ascolto di un assolo e, così come è, finanche,  dell' occhio dello spettatore di fronte alla proiezione  di un film.  Alludo a quel sentimento di attesa 'di rispetto' di fronte alla legge morale la quale  si realizza mediante un principio intellettuale: "questo sentimento è il solo che noi conosciamo interamente a priori e di cui possiamo vedere la necessità" (I. Kant: Critica della ragion pratica).
" Appunti di meccanica celeste" (di Domenico Dara, Nutrimenti 2016) è essenzialmente un libro che pregiudica l'accennata attesa di rispetto nei confronti del lettore che ne è fruitore.  Questi si trova  nella spiacevole situazione di decidere in qual modo risolvere la dissonanza cognitiva a cui si scopre esposto: se decidersi inopinatamente ad abbandonare a metà  il libro che ha preso a leggere oppure, sperando fino all'ultimo nell'apocalissi di una rivelazione finale, concedere credito  e proseguire nel percorso fastidiosissimo di lettura,    bandendo il senso di fastidio per gli indizi  continui  di  incongruenze  descrittive,  per il grottesco susseguirsi di pensieri e comportamenti dei  personaggi, per  la tragica carenza di un contesto temporale verosimile  che mina alla radice ed oltre ogni paradosso, la già esile ed inconsistente trama della storia.  
Il romanzo si svolge a Girifalco, comune della Calabria a circa una ventina di chilometri da Catanzaro, quand'è all'epoca paese di circa settemila anime:  nel romanzo  il periodo coincide (pag. 140),  con la messa in onda della puntata milleduecentocinquantaquattro di Beautiful che una dei protagonisti,  Malarosa guarda su RAI 2, probabilmente nel mese di marzo, di certo del 1995. Il romanzo finisce però a novembre del 1994 (e come mai?), perché quello è il mese della messa in onda  dell'ultima puntata della commedia 'Marilena' su rete 4 (pag.271). Ma a dispetto delle datazioni (che non coincidono  affatto neppure con quelle del  9 e 10 agosto del romanzo)  parrebbe logico per il lettore che gli eventi  si svolgessero negli anni sessanta, decenni forse più plausibili  per  questa  supposta Girifalco dipinta di un agire, pensare e desiderare così arcaico.  Ci sono interpreti nel romanzo che sono devoti ad un   presocratico way of life naturalistico,  mentre altri provano  desideri e  decidono, soprattutto pensano, determinati  da istinti invincibili, secondo mentalità vetero patriarcali, oppure  reagiscono agli stimoli sessuali senza pulsioni governabili ma vittime di priapiche  rinascenze che sembrano escogitate appositamente per soddisfare descrizioni di congiunzioni carnali da libidine per l'osteria  o certa truppaglia da caserma (Venanzio Micchiaduru segue il copione sceneggiato giusto giusto per succosi filmetti da sessomatto), senza che corra conoscenza  minima delle pratiche  anticoncezionali (se non quella del coitus interruptus con il quale Venanzio offre esempio di spurgo seminale  sulla pancia di femmine sventurate). 
Nella realtà sappiamo da testimonianze viventi di numerosi intellettuali locali che, contrariamente a quanto fa credere il romanzo, sicuramente negli anni novanta, a Girifalco si vive modernamente, c'è già l'elettricità, il gas, il cinema, la radio e la TV  di Stato, libera e commerciale, omologate entrambi all'era della tecnica e conformiste rispetto a tutte le  pubblicità consumistiche  ed informazioni computerizzate, informatiche celesti e terrene.  C'è la scuola, il liceo artistico e scientifico, c'è scienza e tecnologia e con essa il consumo elettronico è già ben avviato. C'è una  pubblica amministrazione ben strutturata probabilmente già con i primi personal negli uffici. Si applicano, insomma,  leggi,  gabelle, circolari, così come le procedure informatiche. I bambini a Girifalco giocano con le playstation, da adulti si  legge, si studia, ci si laurea, si diventa ingegneri, avvocati e medici e commercialisti. Si va in piscina, ci sono  automobili e le persone organizzate in associazioni, partecipano alla vita politica, si sentono responsabili  e finanche vanno in chiesa ma non solo in cerca di miracoli per contrastare, filosofando di determinismo, fato, destino, malocchio.
  Di quasi tutto questo sopra esemplificato, che chiamasi 'contesto e cornice congruente che non può non far rima con la realtà di Girifalco', nel romanzo non c'è traccia.  In questo romanzo c'è solo quello che fa comodo al romanzo:  il Comune di Girifalco appare  un luogo dove organizzazione scienza e cultura moderne sono bandite,  dove soprattutto  regna il vuoto di senso, non solo perché a contarli i paesani, che fan capolino nello sfondo di questa disabitata Girifalco, non risulterebbero che una qualche manciata  ma soprattutto perché l'arcaico vuoto di senso in cui essi pascono,  crea nel lettore  lo scenario più congeniale a persuaderlo  che questa sia una effettiva e plausibile possibilità di esistere alle soglie dell'anno duemila in Calabria.
  Nel romanzo, non ci si comporta come se si stesse approdando al XXI secolo, bensì  come si fosse proiettati quaranta o chissà quanti anni ancora addietro. A Girifalco, per decidere i personaggi diagnosticano  il da farsi tramite pratiche simil-apotropaiche,  consultando 'solo' segni ossessivi come frugassero per capire il presente tra viscere di animali, traendo auspici (solo)  dal volo degli uccelli  o dalle ombre delle apparenze sia che si tratti di semplici  coincidenze o sibillini incidenti, che di strano colori di ciuffi albini) oppure dal (solo) movimento degli astri.  I quali,  interrogati sul perché della loro indifferenza alle sorti umane, per lo più tacciono o rivelano, purché interpretati alla bisogna, cose arcane terribili o stupende (Archidemu,  professore e filosofo che rende stoico il lettore  nel sopportare lui e coloro che lo hanno laureato).  A Girifalco, a metà degli anni '90 i personaggi non sanno cosa sia il piacere di leggere o di scrivere,  per loro non esiste la politica (c'è solo un accenno alle trame fasciste ed alla bomba nel 1969 alla Banca dell'Agricoltura a Milano). La scienza stessa è diafana, più affidabili sono le sembianze del medico condotto, interpellato da femmine sposate che incerte di essere gravide, non credono in altra fortuna e destino naturale che far figli a prova della buona sorte.  Fa così capolino il test di gravidanza (che però queste moderne donne Girifalcesi comprano in segreto in farmacia a Borgia, per non farsi notare dai concittadini, paesani criticoni).  L'automobile non sembra essere in uso (non ve n'è traccia). Le letture riguardano o  i foglietti di  ringraziamento degli ex voto esposti in chiesa oppure i trafiletti riportati nella  cronaca locale della Gazzetta del Sud che si proclamano in osteria.  A girifalco  non si sa insomma cosa accade altrove, ma neppure si guardano  telegiornali o altro  in TV che non siano infinite soap opera o commediole.  In compenso grandi e piccini si va al Circo sorprendendosi, con il medesimo stupore  antropologico da anni sessanta, delle acrobazie di trapezisti e delle qualità di  equilibristi mai visti in precedenza in TV.  A Girifalco si può anche verificare anche  dopo la legge n. 180 del '78, cosiddetta 'Basaglia', che decretò l'inizio dell'affidamento dei pazienti a strutture ospedaliere, alle ASL/USL, di essere internati  in manicomio fanciulli negli anni novanta ed a otto/dieci anni di età, per via di semplici fenomeni convulsivi, finanche ad essere considerati soggetti alle leggi di PS e di un sindaco, legibus solutus, che mai ha disposto  di un potere del genere.  Improbabile e paradossale destino che invece tocca a Lulù (il pazzo: che se fosse vissuto in un romanzo ambientato allo scadere  del XX secolo, anziché in un medioevo di era incerta, sarebbe apparso al più un artista od  poeta un po' eccentrico ).  Tutto questo accadrebbe a Girifalco dove il cittadino più colto è  il filosofo Archidemu (stoico a parole, primitivo presocratico natural democriteo  nel pensare)  e dove se arriva un circo quando le TV private hanno omologato  ogni linguaggio in consumismo, nessuno ha perso le proprie ingenuità fiabesche. A Girifalco scopriamo anche dell'esistenza di un altro presocratico, questa volta  sfruttatore dello stimolo che provoca il solo ricordo dell'odore acidulo della sua semenza Venanzio Micchiadduru. Femmine incalore e mogli  fedifraghe del posto (ce n'è un sacco di queste che si sollazzano del suo  "miccio duru" tutte in un retrobottega della sartoria), rendono  protagonista  decameroniano da caserma Venanzio Micchiadduru, che, al par di un erotomane da fumetto stile anni sessanta, è  devoto per scelta all'arte del sesso, perché "quel bene prezioso che teneva tra le gambe era un peccato non farlo conoscere a tutte". Venanzio,  il De Sade de noi altri di provincia, è il vero  teorico che delinea le dimensioni del romanzo, la cui tesi vuole indicare l'indubitabile ordine a cui soggiogare significato e senso delle cose: quello naturale, istintuale incontrollabile e pre-pulsionale che aleggia in tutto il romanzo e che risponde al ben noto moto che esclama:  'se si è sempre fatto così, una buona ragione per non cambiare ci sarà', tesi sostenuta con  i medesimi argomenti di ventuno secoli fa e che assume tale refrain come  tavola delle leggi  per  la conservazione di  un ordine arcaico,  validato da un sapere  paesano sempre in auge per dedurre regole all'agire umano di ogni latitudine terrena o localizzabile nel sistema solare. 
  Si potrebbe andare avanti un bel po' ancora con le stramberie e gli anacronismi rilevabili, giacchè il romanzo risolve in un modo molto semplice  il problema della congruenza con il contesto spazio temporale in  cui gli eventi si svolgono: inventandoselo convincente quanto potrebbe  esserlo un Montalbano meccanico terrestre, ambientato ad Atene  con Ben Hur o quanto  un Gran Capo Giuseppe premiato in Oceania per un libro intitolato ad Italo Calvino.  I personaggi vivono la loro  vita  in un atmosfera fittizia, in una sorta di vuoto pneumatico dove tutto può accadere,  dove lo sguardo morale di chi legge non avrebbe altra strada che rinunciare al proprio giudizio, così da concedersi  alla verità del  romanzo ed alla cosa  a cui  a cui esso ambisce: persuaderci che abbia una trama ed un contesto e che magari sia anche companatico  passabile per professori ed insegnanti che vogliano passare amene letture calabre in classe con gli alunni. 
Non ci si spiega davvero come  non ci si accorga dell'evidente stridore di una storia con personaggi del romanzo che, invece di fare i conti con l'imperversare delle tendenze collettive della globalizzazione e del consumismo di fine XX secolo, versano incredibilmente in balia di forze di pensiero metafisiche e democritee, sballottati chiusi ciascuno nel sacchetto del destino dai propri elettroni che, cozzando tra di loro, fanno così marciare i Girifalcesi come automi, galleggiando nel vuoto. Così (a pag. 258)  Archimedu pensa  tutti gli esseri della terra (solo) come  "trapezisti lanciati  a  loro insaputa nel vuoto dell'esistenza",  alla ricerca di appigli  di fortuna, giacchè  agire e motivarsi è inutile, non rivelandosi altro che" tentativi di  evitare il vuoto".
Siamo agli antipodi rispetto al precedente romanzo  con protagonista   il postino di Girifalco (là gli eventi si svolgevano correndo il 1969), nel contesto tematizzato  tra quei paesani nel "Breve trattato sulle coincidenze".  Romanzo in cui il postino si presenta al lettore quale mercuriale prometeico, in grado di alterare il corso della storia con il fuoco ingegnoso  di un servizio postale arti-ficioso,  riscrivendo le lettere indirizzate ai paesani bisognosi di riscatto, sostituendosi con il suo agire al destino anti-metico, per pre-venire e modificare in buon augurio, il percorso casuale di quegli elettroni  (terreni sì, questi del 'Breve trattato' poco meccanicici,  molto  storici e ben contestualizzati) riscrivendo lettere amorevoli e consolatorie e sostituendole alle originarie presaghe di sventura.  Un libro in cui,  mediante un originalissimo  espediente da 'deus ex machina', il suo autore determinava  la sovversione  letteraria degli assetti di potere per recare giustizia e significare segni pagani di 'metis' ad orientare  il caso al servizio della provvidenza.     
Con questo secondo romanzo invece  prende  corpo un 'horror vacui' da  Girifalco improbabile di fine '900, una esposizione dei protagonisti ad indifferenze astrali, intenti ad agitarsi come topolini  (in forma quantica) in un planetario muto che limita ogni sguardo, tutti sovrastati da una  paralizzante   predestinazione che  se la ride di loro come di  topolini che sgambettino in un  labirinto,  teatrino zoologico dove ognuno si dimena tra meccaniche poco celesti molto di pregiudizio terreno e con forti tinte claustrofobiche. Cosicchè i  destini naturalistici delle persone non fanno che offrire una  coloritura  grottesca agli eventi con descrizioni  che  confondono per la loro inverosimiglianza, il lettore.    
      La trama del romanzo si sfarina davanti al lettore pagina dopo pagina, perdendo lentamente verosimiglianza, non si capisce se raffazzonata per allungare il brodo o per esigenze di mercato o per onorare chissà quale immagine, fama o desiderio. Un consiglio: grazie alla serialità dei due romanzi, certamente la Girifalco di "Appunti di Meccanica celeste " si presenta bel bella ad essere tradotta  in sceneggiatura con il precedente romanzo, onde dare vita ad un format pronto a soddisfare un  mercato che apprezza i filmetti da Iper-cine di provincia.

* di Alessandro Claudio Orefice



Un altro testo che abbiamo letto e che ci permettiamo di sconsigliarvi è Class: Vite infelici di romani mantenuti a New York di Francesco Pacifico.

Riportiamo qui di seguito un paio di recensioni di cui condividiamo l'essenza.

++ho letto Class perché mi è stato regalato ma non lo consiglio. Trae in inganno quel che viene scritto nella trama. Non mi piace la tecnica narrativa usata, la lingua deturpata dalla presenza di un presuntuoso slang, stanca il lettore, troppe proposizioni in inglese, troppi riferimenti a vie di Roma e di New York che non siamo tenuti a conoscere per forza. Si respira l'aria squallida, frustrata,meschina e ammuffita della società rappresentata da "Reality" di Garrone o da "La grande bellezza" di Sorrentino, ma un film si aiuta con le immagini per essere fruito, la letteratura è decisamente un'altra cosa, le immagini le deve "evocare" e, se non lo fa (in questo libro l'autore non evoca alcunché se non fastidio a chi legge), non è letteratura, anzi, non è neanche un buon libro. All'inizio avevo apprezzato l'espediente di narrare con la voce di uno dei personaggi (diciamo non protagonisti),ma anche questo strumento non sarà poi ben utilizzato, perché induce a confondere il lettore. Mi spiace che si usi sul risvolto di copertina una nota relativa al contenuto del libro come "specchietto per le allodole".

E' una mistificazione e non lo trovo onesto nei confronti di chi ama leggere. Sono una lettrice appassionata e francamente non mi piace essere ingannata così grossolanamente sul contenuto di un libro (specie se ad editarlo è Mondadori)



++Condivido in pieno la recensione di Anna. Personalmente non sono riuscito a finirlo, libro irritante, entra di diritto tra i peggiori in 30 anni di letture