Io e me, un gay e il muro di Berlino

19.07.2013 20:04

Ve lo dico prima così che non vi facciate strane idee…la Sara della storia sono io, è di me che parlo in questo racconto che scrissi tempo fa per “sdrammatizzare” un po’ e ridere sopra la storia più incredibile della mia vita (nonostante di storie incredibili ne abbia fin qui vissute a iosa!). Il Marco del mio racconto, invece, non è un compagno della nostra classe, era della  IV C e ovviamente non si chiamava Marco…

Ho scritto perché essere omosessuale non debba mai più mettere in imbarazzo nessuno, perché questa inclinazione sessuale sia finalmente considerata alla stessa stregua della eterosessualità e non una patologia da curare e ricondurre alla “normalità”.

Ho scritto questa storia per le donne che almeno una volta nella vita si sono innamorate di un amico gay e l’ho scritta senza un finale perché le amicizie vanno oltre la banalità dei “finali a lieto fine”

Se vi va leggete pure, è arrivato il momento:

< E basta, da domani lo vado a raccontare a tutti, si comincio da lei, mi ha sempre dato ascolto, mi capirà lo so.

E poi dovrò dirlo anche a loro. Ma come faccio, a mamma verrà un infarto, papà non dirà niente, si chiuderà in un silenzio… non ci crederà, ci scommetti? Mi dirà: “ bello di papà, vuoi che andiamo da un medico ? Ti do l’indirizzo di Faustino, è uno bravo lui, se t’imbarazza, io non vengo, ci vai da solo ok ? “ Già me la vedo la sua faccia davanti, con quel fare premuroso….

Vabbè, domani ci provo, domani glielo dico! >

Erano dodici anni che Marco ripeteva queste parole davanti allo specchio. Parlava a sé stesso, si guardava dritto negli occhi. Da quando, all’età di undici anni, aveva sentito il suo cuore arrivargli alla gola, esplodergli dentro dall’emozione per aver abbracciato un suo compagno di squadra. Giocava a calcio nel ruolo di difensore, era anche molto bravo, in campo era soprannominato ironicamente il “muro di Berlino”, ma quando nel 1989, finalmente, anche quel muro cadde, quel soprannome per Marco non fu più appropriato!

A volte Marco se la prendeva proprio con quel “muro” < credo che la mia omosessualità dipenda proprio dalla caduta del muro, fino all’89 io ero un difensore maschio tutto d’un pezzo! >

Nell’89 Marco aveva appena undici anni e fino ad allora non aveva avuto alcuna pulsione “amorosa” verso nessuno. Non avvertiva attrazione, o comunque non

prestava attenzione a queste cose, gli piaceva giocare al calcio, difendere quell’area intorno alla porta come fosse casa sua, un suo parente o l’amico più caro.

Era bravo Marco, era bravo davvero, ma quell’abbraccio, quel cuore “esploso in gola” gli ha cambiato la vita.

Ora Marco ha 23 anni e continua a parlarsi davanti allo specchio. Da quattro anni lo specchio non è più quello della sua stanza, della stanza della casa materna, da quattro anni lui vive da solo < per motivi di studio > lui dice. Sta per laurearsi in Filosofia, gli manca solo la tesi, ma il suo percorso di vita è ancora all’inizio!

< C’è da risolvere questo problema, ti dico che non puoi andare avanti così, non è giusto. Siamo nel 2001, il mondo è “emancipato”, la società è multietnica! Non sarai mica tu l’unico “discriminato della terra”!>

Era forte Marco, parlava davanti allo specchio come se fosse “altro” rispetto a sé, come se all’improvviso riuscisse a sdoppiarsi, a divenire giudice o confidente di quel Marco silente in balia dei dubbi e delle poche certezze!

< Smettila dai, Giò è sotto, è arrivato da un pezzo e tu continui a parlare di te e di quanto “minchione” sei ad avere paura di tutto. Eh già, è questo che sono, uno stupido minchione che non ha il coraggio di dire la verità. Giò mi manderà al diavolo prima o poi e il mio cuore si spezzerà di nuovo, lo so!

Vabbè, domani parlerò a mia madre, o forse è il caso che ne parli prima a Sara. Domani lo faccio, boh!>

Puntava con un dito la sua immagine riflessa nello specchio, faceva la faccia seria, come se volesse convincere sé stesso delle proprie parole, poi si sorrideva benevolo, in segno di perdono. Alla fine si riconciliava sempre con quella sua immagine riflessa.

E sotto c’era il suo Giò, bello come il sole, luminoso e statuario, Marco lo guarda con gli occhi innamorati e persi e molte volte si chiede cos’abbia mai fatto per meritarlo.

< Ciao >, Marco gli dà un bacio sulla guancia e Giovanni gli mette la mano sul braccio, vanno a piedi verso la macchina e, saliti a bordo, partono per andare a lezione all’università.

Si trattava della lezione delle 15,00, Filosofia dell’educazione, l’aula era la B/21 poco distante dall’ingresso principale della facoltà di Filosofia, la docente era una giovane donna, esile ma molto esuberante e determinata. Marco aveva una vera e propria adorazione nei suoi confronti.

Aveva comprato uno dei suoi libri “Ruolo dell’educazione nella formazione alla diversità” e nonostante la Dottoressa non avesse mai indirizzato i suoi allievi verso l’acquisto dei testi da lei scritti, fatto che la rendeva singolare (se non unica) agli occhi dei suoi alunni che, invece, erano molto spesso “costretti” dai docenti a comprare proprio i loro manuali, Marco si era lasciato incuriosire dalla dolcezza, dalla sensibilità e dal coraggio di quella giovane insegnante.

Marco aveva letto il saggio <Ruolo dell’educazione nella formazione alla diversità> tutto d’un fiato e aveva tratto da esso spunti per riflessioni  sulla sua personale condizione, di carattere filosofico, sociale, pedagogico e umano, riteneva insomma questo libro importantissimo per la formazione di chiunque e, lui, con la sua profonda sensibilità ne aveva colto l’essenza, l’intrinseco valore.

Fu proprio in seguito alla lettura di questo libro che la sua identità divenne fiera e la sua autostima aumentò notevolmente. La diversità l’aveva sempre connotato, da quell’anno, l’anno della “caduta del muro” era divenuto fragile e insicuro, quasi si vergognava del suo essere semplicemente “diverso”, ma quel testo, attraverso il rigore scientifico della ricerca e tramite le parole di grande umanità che la sua docente aveva consegnato alla scrittura, gli avevano cambiato la vita, lo avevano indotto ad avere rispetto prima di tutto verso sé stesso, verso la sua diversità, lo avevano aiutato nel difficile percorso dell’accettazione e  Marco, ora era un uomo nuovo. Era un uomo, prima di tutto un essere umano, ormai in grado di affrontare gli altri, di coinvolgerli nel suo essere “diverso”, di avvicinarli a sé.

Doveva cominciare da lei, doveva cominciare da Sara, lo scoglio più complesso da superare.

E da Sara incominciò:

Seguita la lezione di Filosofia dell’educazione, Marco si volta verso Giò e con fare rassicurante gli dice che deve uscire un istante per fare una telefonata, intanto Giò che gli fa un cenno con la testa, si avvicina agli atri colleghi del corso e fa due chiacchiere aspettando l’inizio della lezione successiva.

Marco esce fuori dall’aula, prende il suo cellulare e lo riaccende impaziente, attende che ci sia la giusta ricezione e poi digita un sms da inviare alla sua amica del cuore Sara

< ti va di passare domani sera da me, ceniamo insieme e…devo dirti una cosa (Giò  non ci sarà). Un bacio, Marco >

Inserisce il numero e invia l’sms.

Sara lo conosceva da sempre, era la sua storica compagna delle elementari, delle medie, solo alle superiori si erano separati ma ora frequentava lo stesso corso di laurea alla facoltà di lettere e filosofia. Per un lungo periodo, durato più o meno tre anni, hanno condiviso persino lo stesso letto. Sara e Marco infatti condividevano in “subaffitto” una stanzetta di un bilocale nel quale abitava una coppia senza figli.

Avevano dovuto adattarsi a causa della poca disponibilità di denaro e avevano dovuto addirittura coabitare in un lettone matrimoniale sul quale praticamente trascorrevano intere giornate, lì studiavano, leggevano, guardavano la Tv, a volte mangiavano (oltre che passarci le notti a dormire!)

Ogni tanto Sara pensava a Marco come al suo amore, l’amore predestinato, a volte piangeva chiusa in bagno perché credeva di essere “trasparente” per lui, a volte lo comprendeva ritenendo che la “secolarità” della loro amicizia, aveva levato alla stessa qualunque pretesa di erotismo o desiderio sessuale. Insomma, Sara amava Marco ma capiva che lui non avrebbe mai fatto il primo passo…< magari teme di compromettere la nostra pluriennale amicizia > si ripeteva continuamente per darsi una plausibile spiegazione. E poi di nuovo a piangere per il costante disincanto.         < Abbiamo dormito insieme ma non l’ha mai sfiorato l’idea di abbracciarmi, devo proprio fargli schifo! Chissà a che pensa o a chi pensa? > Sara si tormentava con strane domande, curiose fantasie sul conto di Marco, ma proprio non riusciva a non sentirsi attratta da quel ragazzo.  Lo aveva visto crescere, avevano due anni quando i loro genitori iniziarono a frequentarsi. Entrambi senza fratelli o sorelle, entrambi figli unici. Divennero presto compagni di gioco fino a frequentare insieme la scuola materna e le elementari. Erano una “coppia fissa”, indissolubile. Chiunque trattasse male Sara doveva vedersela con Marco e la stessa cosa avveniva al contrario se qualcuno rivolgeva un insulto a Marco. Una volta Sara si spinse fino al punto di picchiare un ragazzino che aveva dato un cazzotto al suo Marco rompendogli gli occhiali. S’infuriò in un tal modo  vedendo il suo amico ferito sul volto che, senza nemmeno preoccuparsi di potersi far male, si avventò come un avvoltoio sul corpo della vittima e gli sferrò uno schiaffo così sonoro che Marco rimase interdetto per l’audacia dimostrata dalla sua Sara. A dire il vero interdetta rimase pure Sara, non avrebbe mai immaginato infatti di poter picchiare qualcuno,  < per legittima difesa >, se lo ripeteva sempre: < l’ho menato per legittima difesa, lui aveva spaccato la faccia e gli occhiali a Marco, dovevo fare qualcosa, dargli una lezione >. La lezione l’aveva data a tutti, anche a sé stessa.

Sara ricevette il messaggio e leggendolo arrossì come altre volte le era capitato.

Dio quanto si vergognava di arrossire in pubblico e, più era imbarazzata per il suo rossore e più arrossiva.

Marco le diceva sempre che era ancora più bella quando diventava rossa. Lui le diceva che quel rossore sulle guance era solo lo specchio della sua anima bella, delle sue idee forti e del coraggio che aveva dentro la sua giovane amica. Quel coraggio e la sua determinazione affioravano sulle guance, non era un segno di timidezza, ma di furore e audacia, era un tratto ben delineato che lasciava intendere a chi la guardava che le sue parole erano vere, che la sua “testimonianza” era reale.

Marco era fiero di lei, a modo suo amava quella ragazza ma sapeva che non poteva amarla come lei avrebbe desiderato. Riusciva a comprenderlo. Provava ad immaginare ogni giorno come lei avrebbe reagito ad una sua “confessione”, si fidava di lei, della sua sensibilità, ma temeva ugualmente di parlarle.

Marco aveva paura di turbare un equilibrio che nel corso degli anni aveva costruito con fatica, temeva che se avesse raccontato alla sua Sara di essere gay, l’avrebbe persa, avrebbe perso l’amica di sempre, la sua confidente più fidata e sincera, il suo costante riferimento.

Adorava Sara e lo lusingavano le sue tenere attenzioni di donna, lo stimolava sapere di piacere così tanto alla sua amica e intuire il desiderio di lei nei suoi confronti.

Marco era omosessuale, lo sapeva, fin da quel brivido, ma Sara era la sua Sara.

C’era in lui un non so che di egoistico che lo riconduceva sempre a sé, a guardarsi dentro, a guardare ai suoi desideri, alle sue voglie inappagate, ai sogni di una vita più libera da pregiudizi e ipocrisie, e in questa vita ci trovava Sara, sempre lei, suo malgrado, malgrado Giò, lei era li a fargli compagnia, a chiacchierare di mille cose e di niente, ad ascoltare le sue angosce e a sfogare nel pianto la sua paura d’amare.

< M’innamoro sempre di quello sbagliato >, gli diceva Sara e poi, ridendo,( alternava sempre il riso al pianto con una tale naturalezza da destare preoccupazione a volte), aggiungeva < ma come faccio a sapere che è quello giusto ancora prima di capire che è invece quello sbagliato >

Quali frasi contorte e all’apparenza prive di senso aveva dovuto ascoltare Marco dalla sua Sara e, quante altre le aveva rivolto lui per confortare quel pianto di lei, asciugando le lacrime miste a riso…